CORTE D'APPELLO DI REGGIO CALABRIA 
 
    La Corte d'appello di Reggio Calabria, sezione lavoro, riunita in
Camera di consiglio e composta dai signori magistrati: 
        1 dott. Massimo Gullino, Presidente est.; 
        2 dott. Claudia De Martin, consigliere; 
        3 dott. Fabio Conti, consigliere rel. est.; 
    in esito all'udienza del  16  giugno  2020,  celebrata  ai  sensi
dell'art. 83, comma 7, lettera h,) decreto-legge n. 18 del  17  marzo
2020, ha emesso la seguente ordinanza. 
    Nel giudizio di appello n. 68118 R.G.S.L. e vertente fra Comande'
Giuseppe e Comande' Salvatore, rappresentati e difesi dagli  avvocati
Domenica Scriva e Antonio Quaranta e 
    l'Istituto nazionale della previdenza  sociale,  in  persona  del
legale rappresentante, rappresentato e difeso dall'avv. Angela  Maria
Lagana'. 
1 - Fatti di causa. 
    Il presente giudizio mira alla  riforma  della  sentenza  1337/17
pronunciata dal tribunale  di  Palmi,  sezione  lavoro,  in  data  12
ottobre 2017 in materia di prestazioni previdenziali  temporanee  per
lavoratore agricolo. 
    Il giudizio e' stato instaurato separatamente dai due  ricorrenti
che, con ricorsi depositati il 20 gennaio 2014, lamentavano  ciascuno
il mancato riconoscimento dell'indennita' di disoccupazione  agricola
anno 2011, nel quale allegavano di avere lavorato per 102 giornate di
cui 51 per la cooperativa Gold Rama e 51  per  la  cooperativa  Fruit
Rama. Chiedevano entrambi la condanna DELL'INPS all'erogazione  della
prestazione. 
    Il tribunale ha rigettato le domande ritenendo non dimostrata  la
prestazione   legittimante,   osservando   che   manca    la    prova
dell'iscrizione negli elenchi dei lavoratori agricoli per l'anno 2010
e che per  l'anno  2011  l'iscrizione  risulta  limitata  a  sole  51
giornate, senza tuttavia ammettere la prova per testi  richiesta  dai
lavoratori proprio a tal fine. In questa sede i  lavoratori  chiedono
di  provare  per  l'appunto  l'effettivita'  dei  periodi  lavorativi
legittimanti. 
    L'INPS ha eccepito in primo grado, e ribadisce  in  questa  sede,
l'inammissibilita' della domanda  per  essere  i  ricorrenti  incorsi
nella decadenza ex art. 22, comma 1, decreto-legge n. 7 del 1970, che
impone  al  lavoratore  di  proporre   l'azione   giudiziaria   entro
centoventi giorni dalla presa  di  conoscenza  del  provvedimento  di
cancellazione dagli elenchi. 
    L'Istituto rileva di avere notificato le cancellazioni attraverso
la  pubblicazione  sul  proprio  sito  internet  del   terzo   elenco
trimestrale di variazione dal 15 dicembre 2012 all'11  gennaio  2013,
come previsto dall'art. 38, comma 7, decreto-legge  n.  98  del  2011
convertito in legge n. 111 del 2011. 
    I lavoratori ribattono di  non  avere  mai  avuto  conoscenza  di
queste cancellazioni e di conseguenza contestano di essere incorsi in
decadenza. 
    L'INPS  aveva  tuttavia  evidenziato  di  avere   notificato   il
provvedimento  con  le  forme  previste  dall'art.   38,   comma   7,
decreto-legge n. 98  del  2011,  convertito  in  legge  n.  111/2011,
attraverso la pubblicazione telematica del terzo  elenco  trimestrale
di variazione 2013 sul proprio sito  dal  15  al  31  dicembre  2013.
Rispetto  a  tale   notifica,   sostiene   l'Istituto,   il   termine
decadenziale era ampiamente decorso. 
    I Comande' contestano la legittimita' costituzionale dell'art. 38
e insistono per ottenere l'accertamento giudiziale della prestazione. 
2  -  Norme  applicabili  alla  fattispecie  e  loro  interpretazione
consolidata. 
    Le fonti che vengono in rilievo nella fattispecie in esame sono: 
        l'art. 17, decreto-legge n. 7 del 1970, convertito  in  legge
n. 83 del 1970; 
        l'art. 22, decreto-legge n. 7 del 1970, convertito  in  legge
n.83 del 1970; 
        l'art. 11, decreto legislativo n. 375 del 1993; 
        l'art. 38, decreto-legge n. 98 del 2011, convertito in  legge
n. 111 del 2011; 
        l'art. 12-bis, regio decreto 1949 del 1940; 
    Nel diritto vivente espresso  dalla  consolidata  interpretazione
giurisprudenziale, il termine di centoventi giorni previsto dall'art.
22, decreto-legge n. 7 del 1970 convertito in legge n.  83  del  1970
per impugnare i provvedimenti definitivi in tema di  iscrizione  alle
liste dei  lavoratori  agricoli  ha  natura  sostanziale,  in  quanto
relativo al  compimento  di  un  atto  di  esercizio  di  un  diritto
soggettivo, ed e' insuscettibile di sanatoria. 
    Per altrettanto consolidato orientamento, l'iscrizione alle liste
costituisce, ai sensi del regio decreto 1949  del  1940,  presupposto
sostanziale indefettibile per ottenere prestazioni  previdenziali  in
agricoltura,  non  bastando  a  tal   fine   neanche   l'accertamento
giudiziale  dell'effettivita'  del  rapporto  di  lavoro,   ove   non
accompagnato dall'iscrizione. 
    A  mente  del  previgente  art.  17,  decreto-legge  n.   7/1970,
convertito in legge n. 83/1970, anche dopo le modifiche apportate dal
decreto-legge n. 510 convertito in  legge  n.  608  del  1996  e  dal
decreto legislativo n.  375  del  1993,  la  decorrenza  del  termine
decadenziale per l'impugnazione dei  provvedimenti  di  cancellazione
partiva  dal  momento  in  cui  il   provvedimento   era   comunicato
personalmente all'interessato,  a  mezzo  di  messo  comunale  o  del
servizio postale.  Cio'  in  particolare  risulta  dalla  lettura  di
Cassazione sez. lav. n. 813 del 2007, ove testualmente si afferma che
«La  speciale  disciplina  che  compiutamente   regola   la   materia
dell'accertamento dei lavoratori agricoli dipendenti (oggi costituita
dalle disposizioni del citato decreto-legge n. 7 del 1970,  in  parte
sostituite dal decreto-legge 1° ottobre 1996, art. 9-ter e  seguenti,
convertito nella legge 28 novembre 1996, n.  608,  e  da  quelle  del
decreto  legislativo  11  agosto  1993,   n.   375,   che   anch'esse
parzialmente sostituiscono quelle del decreto-legge  n.  7  del  1970
nell'intento, esplicitato nel titolo, "di razionalizzare i sistemi di
accertamento  dei  lavoratori   dell'agricoltura   e   dei   relativi
contributi", si caratterizza per essere  l'iscrizione  negli  elenchi
nominativi, come pure  la  non  iscrizione  ovvero  la  cancellazione
oggetto di provvedimenti espressi (il  primo  collettivo,  gli  altri
individuali) e tutti comunicati agli  interessati  mediante  notifica
(eseguita, per l'iscrizione, con l'affissione  dell'elenco  nell'albo
pretorio del comune di residenza ovvero personalmente  al  lavoratore
in  caso  di  mancata   iscrizione,   totale   o   parziale,   o   di
cancellazione)».  A  tale  soluzione  ha  costantemente  aderito   la
giurisprudenza di legittimita' successiva (Sez. lav. 19251 del  2007,
15814 del 2009, 12809 del 2011, 24901 del 2014). 
    La notifica personale non e' stata invece mai ritenuta necessaria
in relazione ai provvedimenti di iscrizione,  bastando  pertanto,  ai
fini della decorrenza dei  termini  di  decadenza,  la  pubblicazione
dell'elenco,  quale  comunicazione  collettiva   e   impersonale   ma
sufficientemente efficace. 
    Con la modifica introdotta dall'art. 38, comma 7,  si  e'  invece
stabilito che, in caso di  riconoscimento  o  di  disconoscimento  di
giornate  lavorative  intervenuti   dopo   la   compilazione   e   la
pubblicazione dell'elenco nominativo annuale,  L'INPS  provvede  alla
notifica ai  lavoratori  interessati  mediante  la  pubblicazione  di
appositi  elenchi  nominativi  trimestrali  di  variazione,  con   le
modalita' telematiche previste dall'articolo  l2-bis,  regio  decreto
1949  del  1949,  che  recita  «con  riferimento  alle  giornate   di
occupazione successive al 31 dicembre 2010 ... gli elenchi nominativi
annuali di cui all'art. 12 sono notificati ai lavoratori  interessati
mediante pubblicazione telematica effettuata  dall'INPS  nel  proprio
sito internet entro il mese di  marzo  dell'anno  successivo  secondo
specifiche tecniche stabilite dall'Istituto stesso». 
    Non e' piu' prevista, dunque, una  notificazione  individuale  al
lavoratore interessato, bensi' l'inserimento della cancellazione  del
singolo  lavoratore   in   un   elenco   di   variazione   pubblicato
telematicamente  dall'INPS  nel  proprio  sito,  secondo   specifiche
tecniche stabilite dall'Istituto stesso. 
    Lo strumento della pubblicazione on-line puo'  essere  utilizzato
anche  per  le  cancellazioni  dagli  elenchi   riguardanti   periodi
antecedenti al 31 dicembre 2010, poiche'  la  limitazione  alle  sole
giornate di occupazione successive a  tale  data  riguarda  soltanto,
secondo quanto disposto dal comma 6 (che ha aggiunto l'art. 12-bis al
regio decreto 1949 del 1940),  la  pubblicazione  sul  sito  internet
degli elenchi nominativi annuali, da effettuarsi  entro  il  mese  di
marzo  dell'anno  successivo,  non  anche  gli   elenchi   nominativi
trimestrali di variazione, disciplinati  dal  comma  7,  che  vengono
compilati in caso di riconoscimento o di disconoscimento di  giornate
lavorative  intervenuti  dopo  la  compilazione  e  la  pubblicazione
dell'elenco nominativo annuale, poiche' per tale seconda categoria di
elenchi il richiamo all'art. 12-bis riguarda  soltanto  le  modalita'
telematiche di pubblicazione, non anche la limitazione cronologica di
applicazione. 
    Mentre pertanto  la  modalita'  di  pubblicazione  on-line  degli
elenchi nominativi annuali, entro il 31 marzo, puo' essere utilizzata
soltanto per le giornate di lavoro effettuate  dopo  il  31  dicembre
2010, quella degli elenchi trimestrali di variazione puo'  riguardare
anche giornate lavorative antecedenti a quella data, come accade  nel
caso di specie in cui le giornate sono state svolte nel 2008. 
    In tal modo, l'art. 38,  comma  7,  pone  sul  soggetto  iscritto
nell'elenco dei lavoratori agricoli un onere di  consultazione  degli
elenchi trimestrali di variazione pubblicati periodicamente sul  sito
on-line DELL'INPS, secondo modalita' che - tra  l'altro  -  non  sono
fissate per legge ma  rinviate  alle  specifiche  tecniche  stabilite
dall'Istituto il quale, con circolare  82  del  14  giugno  2012,  ha
fissato i seguenti criteri: 
        1 - Gli elenchi trimestrali di variazione conterranno tutti i
riconoscimenti e/o i disconoscimenti di giornate intervenuti dopo  la
pubblicazione  dell'elenco   principale   2011;   in   tali   elenchi
confluiranno  anche  le  variazioni  valevoli  per  l'anno   2010   e
precedenti: 
        2 - Gli elenchi di variazione verranno pubblicati secondo  il
seguente calendario: 
          entro il 15 giugno - primo elenco di variazione; 
          entro il 15 settembre - secondo elenco di variazione; 
          entro il 15 dicembre - terzo elenco di variazione; 
          entro il 10 marzo dell'anno successivo - quarto  elenco  di
variazione; 
        3 - I suddetti elenchi saranno pubblicati sul  sito  internet
dell'Istituto accessibile  all'indirizzo  www.inps.it  nella  sezione
«Avvisi  e  Concorsi»,  sotto  la  voce  «Avvisi»,  e  rimarranno  in
pubblicazione per quindici consecutivi, consultabili mediante  libero
accesso e senza utilizzo del PIN; 
        4 - Decorsi quindici giorni consecutivi dalla  pubblicazione,
i medesimi elenchi non saranno piu' visualizzabili; 
        5 - La pubblicazione dei citati elenchi di variazione  avra',
ad ogni effetto di legge, valore di notifica alla  parte  interessata
e, pertanto, al lavoratore non verra' inviata la notifica individuale
della variazione di giornate; 
        6 - Gli elenchi saranno consultabili per singola provincia  e
singolo comune e ognuno di essi sara' accompagnato da un frontespizio
riportante  il  periodo  di  validita',  il  numero  dei   lavoratori
contenuti,  i  riferimenti  normativi  e  procedurali  a  base  delle
variazioni,  l'organo  e  i  termini  per   gli   eventuali   ricorsi
amministrativi. 
    Dunque,  la  legge  non  descrive  le  modalita'  e  i  tempi  di
pubblicazione degli elenchi di  variazione,  rimettendosi  sul  punto
alle circolari dell'INPS, le quali, tuttavia, non indicano delle date
precise nelle quali essi vanno pubblicati, ma solo i termini entro  i
quali cio'  va  fatto,  sicche'  non  e'  prevedibile  a  priori  con
certezza, ma  solo  in  termini  approssimativi,  quando  cadranno  i
quindici giorni durante i quali gli stessi resteranno pubblicati  sul
sito dell'Istituto. 
    La giurisprudenza di merito formatasi dopo  l'entrata  in  vigore
dell'art. 38, comma 7, vincolata  dalla  inequivocabile  formulazione
legislativa,  ha  tuttavia  costantemente  ritenuto  che,  una  volta
completata  la  procedura  ora  descritta,  l'interessato  ha  legale
conoscenza della cancellazione e  che  da  quel  momento  decorre  il
termine per l'impugnazione amministrativa,  ai  sensi  dell'art.  11,
decreto  legislativo  n.  375/1993,  in  assenza   della   quale   il
provvedimento diventa definitivo, con  conseguente  applicazione  del
termine di centoventi giorni per l'introduzione del giudizio  innanzi
al tribunale. 
    Cio' comporta l'onere, per il lavoratore agricolo, di un costante
controllo sul sito on-line dell'Istituto  sulle  pubblicazioni  degli
elenchi di variazione che potrebbero -  in  ipotesi  come  quella  in
esame - contenere la cancellazione  della  sua  iscrizione  risalente
anche ad anni precedenti, verifica che -  tra  l'altro,  per  effetto
della rimessione all'INPS  delle  modalita'  di  pubblicazione  -  va
condotta, quantomeno, con cadenza quindicinale, posto che  quella  e'
la durata della pubblicazione di ogni singolo elenco. 
3 - Questione di legittimita' e sua rilevanza. 
    Questa Corte ritiene non manifestamente infondata la questione di
legittimita' costituzionale dell'art. 38, comma 7,  decreto-legge  n.
98/2011, convertito in legge n. 111/2011 (di seguito art.  38,  comma
7), nella parte in cui prevede che «In caso di  riconoscimento  o  di
disconoscimento  di   giornate   lavorative   intervenuti   dopo   la
compilazione  e  la  pubblicazione  dell'elenco  nominativo  annuale,
l'INPS provvede alla notifica ai lavoratori interessati  mediante  la
pubblicazione, con le modalita' telematiche previste dall'art. 12-bis
del regio decreto 24 settembre 1940, n.  1949,  di  appositi  elenchi
nominativi trimestrali di variazione». 
    Nella fattispecie in esame l'applicazione di questa norma  assume
rilevanza decisiva  perche'  idonea  a  porre  nel  nulla  gli  esiti
dell'istruzione svolta in primo grado,  intervenendo  a  monte  sulla
stessa configurabilita'  del  diritto  alla  prestazione  e  pertanto
confermando la natura indebita della stessa. Vero e' che, nel caso in
esame, la soluzione della questione della  restituzione  dell'assunto
indebito dipende anche da altro accertamento, relativo  all'esistenza
o  meno  della  prova  dell'erogazione,  ma  la   ricorrente   chiede
esplicitamente  una  sentenza  di  condanna  alla  reiscrizione,  non
risolvibile senza l'applicazione dell'art. 38, comma 7. 
    La disciplina ora riassunta  appare  violare  le  seguenti  norme
costituzionali: 
        art. 117 Cost. per mancata conformazione del diritto  interno
ai vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario; 
        art. 24 Cost. per irragionevole compressione del  diritto  di
agire in giudizio per  la  tutela  dei  propri  diritti  e  interessi
legittimi. 
4 - Segue sulla non manifesta infondatezza della questione. 
    L'art.  47  della  Carta  dei  diritti  fondamentali  dell'Unione
europea sancisce il c.d. principio di effettivita', riconoscendo  che
«Ogni individuo i cui diritti e le cui liberta' garantiti dal diritto
dell'Unione siano stati violati ha diritto  a  un  ricorso  effettivo
dinanzi a un giudice ... ». 
    Secondo la costante  giurisprudenza  della  Corte  di  giustizia,
spetta agli Stati membri disciplinare le  modalita'  procedurali  dei
ricorsi, alla sola  condizione  che  tali  modalita'  non  violino  i
principi di equivalenza ed effettivita',  e  cioe',  rispettivamente,
non siano meno favorevoli di quelle che riguardano  ricorsi  analoghi
previsti  per  la  tutela  dei  diritti  derivanti   dall'ordinamento
interno,  ne'  rendano  praticamente  impossibile  o   eccessivamente
difficile  l'esercizio   dei   diritti   conferiti   dall'ordinamento
giuridico dell'Unione (tra le tante, Corte di giustizia  26  novembre
2015, C-166/14, Med Eval, punto 37; 12  marzo  2015,  e  Vigilo  Ltd,
C-538/13, punto 39; 6 ottobre 2015, Orizzonte salute, C-61/14,  punto
46). 
    Spetta poi, in primo luogo, ai giudici  interni  valutare  se  le
disposizioni esaminate, ne!  loro  contesto  ordinamentale  e  tenuto
conto delle finalita' che le sorreggono,  soddisfino  i  principi  di
equivalenza ed effettivita' (Corte di  giustizia,  29  ottobre  2009,
C-63/08, Virginie Pontin, punto 49). 
    Dunque, il sistema dell'Unione europea intende garantire  a  ogni
cittadino una  tutela  effettiva  dei  propri  diritti,  che  rimuova
ostacoli di ordine processuale  che  rendano  eccessivamente  oneroso
l'esercizio del diritto di difesa. 
    Sulla medesima linea  si  muove  la  giurisprudenza  della  Corte
costituzionale, che ha costantemente utilizzato, quale parametro alla
cui stregua valutare !a  legittimita'  delle  norme  processuali,  la
idoneita'  delle  stesse  a  rendere  effettiva  la  possibilita'  di
esercizio del  diritto  cui  esse  si  riferiscono,  non  frapponendo
ostacoli che producano eccessive e irragionevoli difficolta'. 
    Basti citare, al riguardo, la sentenza n. 44 del 2016, con cui e'
stata  ritenuta  l'illegittimita'  costituzionale  della  norma   che
fissava, per le controversie proposte nei confronti dei concessionari
del  servizio  di  riscossione,  la  competenza   della   commissione
tributaria  provinciale  nella  cui  circoscrizione  i  concessionari
stessi hanno sede, anziche' quella nella cui circoscrizione  ha  sede
l'ente locale  concedente,  rilevando  che  l'ampia  discrezionalita'
riconosciuta  al  legislatore  nella  conformazione  degli   istituti
processuali, anche in materia di competenza, incontra  pur  sempre  «
... il limite della manifesta irragionevolezza della disciplina,  che
si  ravvisa,  con  riferimento  specifico   al   parametro   evocato,
ogniqualvolta emerga un'ingiustificabile compressione del diritto  di
agire. Nella disciplina de qua, il legislatore, nell'esercizio  della
propria discrezionalita',  ha  individuato  un  criterio  attributivo
della competenza che concretizza  quella  condizione  di  sostanziale
impedimento all'esercizio del  diritto  di  azione,  suscettibile  di
integrare  la  violazione  dell'art.  24  Cost.  ovvero  di   rendere
oltremodo difficoltosa la tutela giurisdizionale.  Invero,  il  fatto
che il contribuente debba farsi carico di uno spostamento  geografico
anche significativo per  esercitare  il  proprio  diritto  di  difesa
integra un considerevole onore a suo carico, il quale,  gia'  di  per
se' ingiustificato, diviene tanto  piu'  rilevante  in  relazione  ai
valori fiscali normalmente in gioco, che potrebbero essere di modesta
entita', e, quindi, tali da  rendere  non  conveniente  un'azione  da
esercitarsi in una sede lontana». 
    Il medesimo parametro di valutazione e'  stato  utilizzato  anche
per scrutinare la conformita' a costituzione di norme  che  impongono
termini per l'esercizio del diritto, statuendosi il principio secondo
cui l'incongruita' del termine rilevante sul piano  della  violazione
degli indicati parametri costituzionali si registra solo qualora esso
sia non idoneo a rendere effettiva la possibilita' di  esercizio  del
diritto cui si riferisce e di conseguenza tale da rendere  inoperante
la tutela accordata al cittadino (Corte  costituzionale  n.  94/2017,
cosi in motivazione). 
    Il criterio dell'eccessiva difficolta' dell'esercizio del diritto
di difesa e' stato declinato anche con specifico riguardo al tema che
qui assume rilievo, ossia quello della verifica sulla  ragionevolezza
dell'adozione del sistema di comunicazione  attraverso  pubblicazione
di atti. 
    Al riguardo, va anzitutto segnalata Corte costituzionale  n.  223
del 1993, secondo cui «  ...  fa  parte  integrante  del  diritto  di
difesa, garantito dall'art. 24 Cost., porre i  soggetti,  interessati
ad impugnare determinati atti, in grado di aver tempestiva conoscenza
di tali atti, in modo da poter  utilizzare  nella  loro  interezza  i
termini legali di decadenza stabiliti dalla legge  per  l'esperimento
del gravame. Questa esigenza e' ordinariamente assicurata dalle forme
comuni di comunicazione e notificazione, mentre e'  solo  eccezionale
il ricorso a forme di pubblicita', quale l'inserzione nella  Gazzetta
Ufficiale, che  determinano  una  presunzione  di  conoscenza  e  che
possono essere attuate  soltanto  in  casi  particolari,  quando  sia
impossibile  o  sommamente  difficoltoso   provvedere   nelle   forme
ordinarie. In tale quadro la  disciplina  della  notificazione  delle
sentenze dei Tribunali  delle  acque  pubbliche  alla  parte  rimasta
contumace appare lesiva del diritto di difesa laddove, pur senza  una
speciale ragione che renda impossibile o sommamente  difficoltosa  la
notificazione nelle forme  ordinarie  del  processo  civile,  prevede
l'inserzione  del   dispositivo   della   sentenza   nella   Gazzetta
Ufficiale.». 
    Sempre su questo tema, la giurisprudenza di legittimita'  (SS.UU.
n. 4394 del 1996) ha riconosciuto  la  rilevanza  costituzionale  del
diritto alla difesa effettiva in  particolare  con  riferimento  alla
individuazione del dies a quo del termine di sei mesi per  riassumere
il processo sospeso, a seguito di rimessione degli  atti  alla  Corte
costituzionale,  una  volta  intervenuta  la  decisione  della  Corte
stessa. 
    La Corte ha stabilito che, nel caso di sospensione del processo a
seguito di trasmissione degli atti alla Corte costituzionale, il dies
a quo del termine semestrale per  la  riassunzione  del  giudizio  e'
rappresentato dal giorno in cui avviene la comunicazione alla  parte,
ad  opera  della  cancelleria  del  giudice  che   ha   disposto   la
sospensione,  della  pronuncia  della  Corte  costituzionale  che  ha
definito la questione di costituzionalita' ad essa  rimessa,  poiche'
solo questa comunicazione  determina  la  conoscenza  concreta  della
pronunzia medesima, senza che assuma rilievo, all'indicato  fine,  il
sistema di pubblicazione  legale,  previsto  per  le  sentenze  e  le
ordinanze della Corte costituzionale - integralmente pubblicate nella
Gazzetta Ufficiale a norma, rispettivamente,  dell'art.  21,  decreto
del Presidente della Repubblica n. 1092 del 1985 e  12,  decreto  del
Presidente della Repubblica n. 217  del  1986  -  diretto  a  rendere
conoscibili dette sentenze  alla  generalita',  ma  insufficiente  ad
assicurarne la conoscenza legale da parte dei soggetti specificamente
interessati alla prosecuzione del giudizio. 
    Le  decisioni  da  ultimo  segnalate  si  riferiscono  a  termini
«interni» al procedimento giudiziale, a differenza del caso in esame,
nel  quale  la  comunicazione  del  provvedimento  di   cancellazione
all'interessato fa  decorrere  il  termine  per  l'instaurazione  del
procedimento contenzioso amministrativo, una volta definito il  quale
decorre quello di centoventi giorni per la proposizione  del  ricorso
giudiziale. 
    La  ratio  che  ispira  quelle  sentenze  e,   segnatamente,   il
pronunciamento delle SS.UU., non puo' tuttavia non  estendersi  anche
al termine di decadenza  per  dare  inizio  ad  un'azione  giudiziale
quando, come nel caso in esame, sia strettissima la  correlazione  di
esso con l'esercizio del diritto di agire in sede giudiziale, tale da
dovere essere conforme al principio sancito dall'art. 24 Cost. 
    Le  due  fattispecie  presentano   infatti   profonde   analogie,
soprattutto con riguardo alla ritenuta inidoneita' a far decorrere il
termine (rispettivamente di riassunzione o  di  impugnazione)  di  un
sistema  di  pubblicazione  dei  provvedimenti  generalizzato  e  non
indirizzato al singolo soggetto interessato. 
    L'esigenza di garantire l'effettivita' dell'esercizio del diritto
di difesa che sta a fondamento della decisione delle sezioni unite si
ripropone, nel caso in esame, con ancora maggiore pregnanza,  ove  si
consideri, anzitutto, che  nel  procedimento  sospeso  a  seguito  di
rimessione alla Corte costituzionale la parte sa  che  ci  sara'  una
decisione a  seguito  della  quale  decorreranno  i  termini  per  !a
riassunzione e, pur non sapendo esattamente  il  momento  (certus  an
incertus  quando),   e'   in   grado   di   fare   delle   previsioni
approssimative, seguendo l'andamento del  procedimento  innanzi  alla
Corte costituzionale, anche  attraverso  la  difesa  tecnica  di  cui
normalmente dispone ne! giudizio a quo,  avveduta  e  attrezzata  sul
piano giuridico. 
    Viceversa, nel caso in questione, il lavoratore agricolo sa  solo
di essere iscritto negli elenchi dei lavoratori agricoli, ma  non  e'
necessariamente a conoscenza di eventuali  accertamenti  ispettivi  e
del loro esito, essendo tutt'altro che infrequenti i casi di indagini
ispettive su aziende agricole compiute  senza  assumere  informazioni
dai lavoratori interessati e anche a distanza di anni  da  quando  il
rapporto di lavoro agricolo si e' svolto. Il  lavoratore  dunque  non
soltanto non conosce i  tempi  dell'emissione  del  provvedimento  di
cancellazione che fara'  scattare  il  termine  di  impugnazione,  ma
neppure ha motivo di ritenere che un simile provvedimento verra'  mai
in  essere  e  non  ha  percio'  motivo  di   tenersi   costantemente
aggiornato. 
    Si aggiunga che costui non ha alcuna ragione per essere assistito
da un legale e non  e'  di  norma  dotato  di  conoscenze  giuridiche
adeguate. 
    La menomazione del diritto di difesa - gia'  rinvenibile  per  il
solo fatto di far decorrere il dies a quo per impugnare  dal  momento
della pubblicazione telematica degli  elenchi  di  variazione,  senza
comunicazione individuale ai  singoli  braccianti  interessati  dalla
cancellazione - e' ulteriormente aggravata dal fatto che, secondo  la
circolare INPS 82/2012 sopra citata, le variazioni restano pubblicate
per soli quindici giorni, decorsi i quali gli  eventuali  interessati
non avranno possibilita' di  venire  a  conoscenza  delle  rispettive
cancellazioni. 
    Ne  risulta  che,  delle  due  fasi  nelle  quali   si   sviluppa
l'attivita' che  e'  chiamata  a  svolgere  la  parte  interessata  a
proporre  ricorso  avverso  la  cancellazione  -  quella  percettiva,
consistente nel prendere cognizione dell'atto da impugnare, e  quella
volitiva, consistente nella elaborazione e predisposizione  dell'atto
di impugnazione - la prima finisce  per  soggiacere  non  al  termine
fissato dalla legge (come avverrebbe se,  conformemente  all'id  quod
plerumque  accidit,  l'atto,  una  volta   pubblicato,   restasse   a
disposizione a tempo indefinito), bensi' al minor termine di quindici
giorni   stabilito   dall'Istituto   previdenziale,   con   evidente,
irragionevole compressione  del  diritto  di  difesa,  non  potendosi
conculcare  il  diritto  dell'interessato  a  usufruire   dell'intero
termine di legge anche per la presa di conoscenza del  provvedimento,
nulla  escludendo  che  lo  stesso  possa  predisporre   il   ricorso
tempestivamente nell'imminenza della scadenza. 
    Ne' varrebbe obiettare che l'evoluzione degli ultimi anni  spinge
verso un piu' diffuso e agevole utilizzo degli strumenti  telematici,
ormai disponibili per ampia parte della popolazione, giacche',  oltre
a doversi rilevare che il processo  di  alfabetizzazione  informatica
non e' completo e uniforme ne' geograficamente ne' socialmente,  quel
che rende eccessivamente oneroso l'esercizio del  diritto  di  difesa
rispetto  all'osservanza  del  termine  di  decadenza  e'  la  stessa
necessita' di un controllo periodico, frequente  e  con  cadenza  non
preventivamente stabilita con esattezza del sito DELL'INPS,  volto  a
verificare  l'eventuale  adozione  di  provvedimenti  che  potrebbero
riguardare anche annualita' risalenti e  che  sarebbero  destinati  a
incidere  non  su  un'aspettativa,   ma   su   un   diritto,   quello
all'iscrizione negli elenchi dei lavoratori agricoli, gia' entrato  a
far parte del patrimonio del soggetto. 
    Non   risultano   nell'ordinamento,   del   resto,   ipotesi   di
pubblicazione generalizzata per casi in cui il  provvedimento  incida
su situazioni giuridiche gia' entrate nel patrimonio di un  soggetto,
che si trovi dunque in posizione di mera difesa. 
    Non varrebbe invocare, in contrario, la previsione dell'art.  32,
comma 1, legge n. 39/2009, secondo cui «A far  data  dal  1°  gennaio
2010,  gli  obblighi  di  pubblicazione  di  atti   e   provvedimenti
amministrativi aventi effetto  di  pubblicita'  legale  si  intendono
assolti con la pubblicazione nei propri  siti  informatici  da  parte
delle  amministrazioni  e  degli  enti  pubblici   obbligati»,   tale
previsione  potendo  sottrarsi  a  una  censura   di   illegittimita'
costituzionale soltanto se interpretata quale forma  di  agevolazione
per le amministrazioni  che  debbano  portare  a  conoscenza  di  una
generalita'  di   soggetti   non   preventivamente   identificati   e
potenzialmente interessati (bandi di  gara,  concessioni  etc.),  non
quando si tratta di atti  che  incidono  direttamente  sulla  singola
posizione giuridica di soggetti determinati. 
    Tale soluzione si e' del resto fatta  strada  anche  nelle  prime
interpretazioni della giurisprudenza amministrativa. 
    Tribunale amministrativo regionale Lombardia - Milano sez. IV, n.
3148 del 2011 ha affermato che l'art. 32, comma 1, legge  n.  69  del
2009 « ... appare inequivoco nel determinare una presunzione assoluta
di conoscenza in capo ai soggetti interessati all'emanazione di  atti
da parte delle pubbliche  amministrazioni,  qualora  gli  stessi  non
debbano ricevere  una  comunicazione  individuale  legata  alla  loro
peculiare posizione». 
    L'esigenza  di  una  utilizzazione  restrittiva  delle  forme  di
pubblicazione telematica e' stata avvertita anche  dal  Consiglio  di
Stato (sentenza n. 5570/2018), che pure si occupava non  di  un  atto
direttamente lesivo di singole posizioni  giuridiche,  bensi'  di  un
provvedimento amministrativo rispetto al  quale  vi  era  una  platea
indifferenziata  di  potenziali  interessati.  Si  legge  in   questa
sentenza che « ... le norme in tema di pubblicazione telematica degli
atti devono essere  applicate  con  particolare  cautela  e,  quindi,
sottostare  ad  un  canone   di   interpretazione   restrittiva,   in
particolare modo nel momento in cui si tratta di determinare (in  via
interpretativa) gli effetti di conoscenza legale associabili o meno a
siffatta tipologia di esternazione  comunicativa.  A  favore  di  una
regola di cautela depongono  plurime  considerazioni,  riconducibili,
essenzialmente: 
        a) alla mancanza di una disposizione di carattere generale in
grado  di  equiparare,  nella  loro  efficacia  giuridica,  tutte  le
variegate forme di pubblicita' degli atti; 
        b) alla esigenza di garantire, con regole chiare e  uniformi,
standard  tecnici  di  adeguata  e  omogenea  visibilita'  dei   dati
pubblicizzati sui  sia  telematici,  nei  diversi  settori  e  ambiti
operativi dell'azione pubblica; 
        c) alla constatazione di una  diversa  propensione  al  mezzo
telematico  che  si  riscontra  nei  differenti  ambiti  del  diritto
pubblico, anche in ragione dell'eterogeneo grado di  specializzazione
professionale dei soggetti che vi operano e agiscono; 
        d) alla notevole rilevanza degli  interessi  implicati  nella
materia in esame, in particolar modo per quanto concerne  l'incidenza
che la conoscenza legale dell'atto assume ai  fini  della  decorrenza
del  termine  utile  per  l'impugnazione  degli   atti   soggetti   a
pubblicita'; 
        e) alla conseguenza necessita' di privilegiare,  in  presenza
di dubbi esegetici aventi effetti sul regime decadenziale dall'azione
impugnatoria, l'opzione meno sfavorevole per l'esercizio del  diritto
di difesa e, quindi, maggiormente conforme ai principi costituzionali
espressi dagli articoli 24, 111 e 113 Cost., nonche' al principio  di
effettivita' della tutela giurisdizionale. 
    Questo Collegio ritiene dunque che  la  norma  in  questione  non
garantisca  l'effettivo  esercizio  del  diritto  di   difesa,   reso
eccessivamente difficoltoso, sotto il profilo della gravosita' di  un
costante controllo  telematico  degli  elenchi  (inesigibile  per  se
stesso  e  reso  ancor  piu'  gravoso  dal  fatto  che,  secondo   le
disposizioni adottate dall'INPS, cui la norma  rinvia,  tali  elenchi
restano pubblicati solo per quindici giorni, senza che  l'interessato
sia in grado di conoscere con precisione la collocazione  cronologica
dei periodi di pubblicazione), onde evitare che diventi definitivo un
provvedimento che puo' portare alla perdita di  diritti  patrimoniali
anche rilevanti (si pensi alle ripercussioni  che  una  cancellazione
puo' avere sul requisito contributivo ai fini pensionistici), e  cio'
oltretutto, come sovente accade,  con  riguardo  a  iscrizioni  negli
elenchi risalenti a molti anni prima. 
5 - L'impossibilita' di un'interpretazione adeguatrice. 
    Come la giurisprudenza costituzionale costantemente  insegna,  la
rimessione  della  questione  al  Giudice  delle   leggi   presuppone
l'impossibilita' di un'interpretazione costituzionalmente compatibile
della norma in esame. 
    Il   Giudice   a    quo    non    puo'    tuttavia    prescindere
dall'interpretazione  costante  che  di  tali  norme  viene  data  in
giurisprudenza  e,  come  visto  supra,  il  diritto  vivente  finora
consolidatosi e' univoco, sia in relazione  al  senso  da  attribuire
alla norma in scrutinio, sia riguardo alle conseguenze a cascata  che
dalla sua applicazione derivano riguardo i diritti dei lavoratori del
settore agricolo. 
    A cio' si aggiunga che qualunque interpretazione adeguatrice deve
trovare riscontro nel tenore letterale della norma. Come si e'  visto
supra, l'art. 38, comma 7, sfugge a qualsiasi  ambiguita'  lessicale,
assegnando inequivocabilmente valore di notifica  alla  pubblicazione
degli  elenchi  trimestrali  di  variazione  secondo   le   modalita'
telematiche previste dall'art. 12-bis, regio decreto 1949 del 1940.